martedì 19 gennaio 2010

Butterfly di Laurell K. Hamilton

Dopo il penultimo mi ero ripromessa di lasciare perdere la Hamilton per una serie di ragioni.
Alla fine però mi sono ritrovata tra le mani Butterfly e così ho deciso di leggerlo e questo ha fatto sì che la mia opinione nei confronti di questa scrittrice peggiorasse in modo definitivo.
Se a questo romanzo togliamo tutte righe e righe in cui descrive l’abbigliamento dell’uno e dell’altro (e basta! Una volta che ne conosciamo lo stile non è il caso di descriverlo ogni volta da capo a piedi compresi i calzini), se togliamo altre decine se non centinaia di righe in cui spiega come si veste e quante armi ha addosso e dove, se togliamo tutte le parti in cui qualche uomo decide di rimanere senza mutande per puro esibizionismo (non ci sono vere scene di sesso, ma piuttosto un continuo susseguirsi di “uccelli al vento”)… insomma se togliamo tutte le parti estremamente noiose e che trovo descritte in modo piuttosto puerile non rimane che una storia poco originale e per niente accattivante.
Abbiamo solo un’Anita Blake piena di sé (sciatta e cinica per sua stessa ammissione) a cui nessuno uomo pare resistere e che diventa l’oggetto sessuale in qualsiasi contesto.
I personaggi sono stereotipati fino alla nausea.
Tutti muscoli guizzanti, capelli lucidi e lunghi, organi sessuali maschili pazzeschi e poi c’è lei… unica donna con un minimo di carattere in mezzo a tante bambole di pezza senza spina dorsale. Per forza gli uomini vengono attratti da lei! Non hanno molte scelte.
Non si contano le volte in cui usa le parole “vacuo”, “pallido” e culo in tutte le loro declinazioni.
Dal primo romanzo sappiamo che Anita usa solo Nike… non sarebbe il caso di piantarla di sottolinearlo?
La pagherà la Nike?
L’ho apprezzata molto nei primi romanzi quando c’era una certa tensione sessuale che però non trovava realmente sfogo. Quando era più… umile forse… non so…
Questo romanzo mi ha molto delusa. Seicento pagine che sarebbero potute essere tranquillamente la metà se si tolgono tutte le parti fini a se stesse che non conducono a nulla e tutte le altre che ho citato prima.

giovedì 7 gennaio 2010

Arrivederci nonno Vincenzo



Davanti alla morte sembra che nulla più abbia senso, ma è proprio per questo che non dobbiamo e non possiamo soffermarci su di essa, ma su come la vita della persona che se n'è andata è stata vissuta.
Il nonno di mio marito è stato un chiaro esempio di vita vissuta con semplicità e assoluta intensità. Un uomo che ha saputo dare tanto a tutti e che, sono certa, ha solo abbandonato il suo corpo ormai vecchio e stanco per librarsi nell'aria e poter stare ancora più vicino alle persone che ha amato.

Il 7 gennaio si è spento Vincenzo Lo Giudice, che con i suoi 103 anni e 7 mesi era il cittadino più anziano di Cuneo.
Un uomo che ho avuto l’onore di conoscere e che ha lasciato un’impronta indelebile in tutti coloro che hanno potuto incontrare il suo sguardo grigio/azzurro così carico di serenità e di intelligenza.
Minuto eppure forte come una roccia.
Nato in un’epoca in cui ci si accontentava di quel che si aveva senza troppo pretendere nemmeno da se stessi, lui ha invece studiato elettrotecnica a Torino dopo essere stato costretto a lasciare la sua città natale. Ha duramente lavorato di notte per poter studiare di giorno e salire un altro scalino, verso quella vita che desiderava e che gustava con piacere estremo. Caparbio, gentile, con principi veri e saldi non ammetteva ingiustizie, cattiverie, disonestà.
Durante la sua lunga vita ha visto le due grandi guerre, ha dato rifugio ai partigiani, ha visto cambiare i tempi sempre con quell’accettazione e quel sorriso sincero sulle labbra. Ha percorso Cuneo, città che ha molto amato, in lungo e in largo senza mai aver bisogno di un’auto, ma solo di se stesso e delle sue gambe ed è esattamente allo stesso modo che ha vissuto. Sempre contando solo su se stesso, senza mai far pesare nulla a nessuno. Persino nelle sue ultime ore le sue parole sono state di altruismo e di affetto. “Vai a casa.” Queste le parole che ha pronunciato rivolgendosi a suo nipote. Quel che si dice un vero capo famiglia, un vero pilastro della famiglia. La persona alla quale si fa riferimento quando ci si sente insicuri, quando qualcosa ci preoccupa.
Ora Vincenzo non c’è più. Non su questa terra, ma non posso non credere che lui sia qui con noi anche ora e magari che sia stato proprio questo bisnonno a prendere per mano una bambina di un anno e farle compiere i suoi primi passi da sola la sera del 7 gennaio.
Arrivederci nonno Vincenzo.
Tutta la tua famiglia ti ha amato e rispettato esattamente com’era giusto che fosse.